Vi ripropongo con piacere questo articolo che ho trovato sul web, parla del mio debutto in “Boheme” al teatro La Fenice di Venezia stagione 2011/12 con la regia di Francesco Micheli. Una produzione che porto sempre nel cuore ambientata nella magica cornice del teatro la Fenice di Venezia.
Il teatro La Fenice di Venezia ripropone a Febbrario prima recita il 16/02/2017 la “vecchia Boheme” di Giacomo Puccini. Il medesimo capolavoro pucciniano andato in scena per la prima volta nel 2011 in occasione del carnevale di Venezia.In questo articolo vogliamo discostarci un attimo dal presente e rendere omaggio proprio a quella Boheme frutto della bravura e del talento di Edoardo Sanchi, che ha dato vita ad un apparato scenotecnico degno del nome di Puccini.
Edoardo Sanchi ha pensato a un sipario che dà l’idea di un cannocchiale per concentrare lo sguardo dello spettatore nella soffitta del primo atto. Il velatino di lampadine (a diversa intensità luminosa a seconda dei momenti), con un effetto un poco insegna di Moulin rouge, riproduce i principali monumenti parigini in un contesto di linee vagamente liberty. Il centro del sipario, ovale, fa da cornice alla scena del primo quadro, rialzata rispetto al piano di calpestio del palcoscenico. La soffitta è arredata con mobili di varia provenienza, come se i ragazzi li avessero raccattati un po’ qua e un po’ là, ma con gusto estetico. Ecco allora la stufa di ghisa di forme asiatiche, la poltrona con le maschere africane, l’armadio e il tavolinetto di gusto etnico, il lettuccio di ferro dalle linee floreali, la scultura che pare di Medardo Rosso: tutto in linea con il gusto del momento. Sognante la grande luna che pende sui tetti di Parigi, proiettata sul velatino.
L’effetto del passaggio tra primo e secondo quadro, rappresentati di seguito, lascia stupefatto il pubblico; si solleva il velatino, si solleva il piano del palcoscenico: sopra parigini a passeggio e neve che cade copiosa, ombrelli aperti e impermeabili scuri; sotto parigini in metropolitana, in fila con le braccia alzate agli anelli di sostegno. Poi il metrò scompare e le case che bordano il palcoscenico, ruotando, rivelano cartelloni pubblicitari d’epoca e contornano lo spazio di Momus.
Il terzo atto ha al centro una casa-locanda girevole (con tocchi di turcherie nell’insegna e all’interno) che mostra esterno ed interno, oltre la barriera doganale e la casetta dei doganieri; un albero spoglio protende i rami verso il cielo buio e prende la neve ma, nel finale, si copre di fiori rossi che paiono sbocciare per miracolo, il miracolo dell’amore. Lo sfondo è una linea di condomini parigini tagliata a metà scena.
Nel quarto lo spazio della soffitta è completamente diverso rispetto all’inizio, occupa tutto il palco ed ha lo sfondo e i lati bianchi, con lo spazio delle casette lasciato vuoto, solo il contorno segnato, per favorire un gioco di luci (Fabio Barettin) vario e suggestivo che alterna il bianco ghiaccio del sopra a colori primari del sotto: rosso, viola, blu, uno dopo l’altro, fino al nero.
Unica nota stonata di questo allestimento la regia di Francesco Micheli, colpevole di aver dato troppo risalto alla amicizia tra i giovani Rodolfo ,Schaunard, Colline, Marcello relegando in secondo piano invece la storia di amore tra Mimi’ e Rodolfo il fulcro dell’ opera di puccini,e trasformando cosi’ un’ opera tragica in una commedia dove la morte di Mimi’, figura femminile per eccellenza tanto cara ai Romantici e a Giacomo Puccini, e’ resa piu’ accettabile e perde la sua tragicita’
Come non rendere gloria e onore anche agli altri protagonisti vocali del tempo citando una recensione del 2011 a cura di Marco Ranaldi:
In questo viaggio nella sensibilità, nella femminilità lieve di Puccini, ottimo lavoro lo hanno fatto i protagonisti, ad iniziare da un bravissimo Jurai Valchua, bravissimo, dal gesto sicuro, preciso, incisivo e dalla forte musicalità. Questo giovane direttore sa cos’è dirigere, lo sa fare come se fosse per lui la cosa più naturale. È bravo ed è brava l’orchestra, pulita e intensa nel suono, come poche volte si sente la compagine veneziana (spesso la routine distrugge il maestro d’orchestra). Su tutte spicca la bellissima presenza della protagonista, Lilla Lee, perfetta, drammatica e intensa al punto giusto, innamorata del suo personaggio e carica di quella giusta tessitura per cantare un Puccini amabile, dolce come lo sa essere attraverso quella musica che ha poco altro da dire. Sebastien Guezè è un bravo Marcello, un po’ troppo impaurito, tanto che soprattutto nel primo atto, la sua voce vacilla, non sempre è intonata; recupera però nei due atti finali, dove deve uscire il suo personaggio di buono, fin troppo e forse Guezè ha incarnato l’animo del personaggio, tanto da renderlo caduco, un po’ fragile. Tutto il resto del cast funziona, sono bravi i comprimari, i compari di Marcello. Il coro è bravo, quello dei bambini un po’ meno, la banda splende nel secondo atto e tutto il grande carnevale che si muove sulla scena, brilla di colori, dei costumi bellissimi di Silvia Aymonino, semplice lei, semplici i suoi panni di cui veste il grande tourbillon dei soggetti di scena. Insomma, questo nuovo allestimento della Boheme è veramente bello, funziona come sanno funzionare le cose fatte con la competenza ma anche con la passione, motore primo dell’arte.