Manon Lescaut | Martina Serafin |
Lescaut | Dimitris Tiliakos |
Il Cavaliere Des Grieux | Walter Fraccaro |
Geronte di Ravoir | Alessandro Guerzoni |
L'oste | Gionata Marcon |
Edmondo | Saverio Fiore |
Un Musico | Anna Malavasi |
Il Maestro di Ballo | Stefano Consolini |
Un Lampionaio | Saverio Fiore |
Sergente Degli Arcieri | Carlo Agostini |
Il Comandante di Marina | Salvatore Giacalone |
I Musici | Nicoletta Andeliero, Emanuela Conti, Gabriella Pellos, Francesca Poropat |
- |
|
Direttore | Renato Palumbo |
Regia | Graham Vick |
Scene e Costumi | Andrew Hays e Kimm Kovac |
Light-design | Giuseppe di Iorio |
M° del Coro | ¨claudio Marino Moretti |
- |
|
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice |
Una lunga bordata di buuu, non coperta da isolati bravo, ha salutato l’uscita di Graham Vick alla fine della Manon Lescaut che ha inaugurato la stagione 2010 della Fenice, a quattordici anni esatti dallo scellerato rogo che ridusse in cenere il teatro veneziano. Con una certa tristezza, in quanto abitualmente estimatori dei lavori di Vick, non possiamo non comprendere le ragioni del marcato dissenso al suo allestimento. Premettiamo che l’idea della voragine, impercettibile nei primi due atti, profondissima nel terzo e quarto, sulla quale poggia, o meglio non poggia, il praticabile ove si muovono cantanti e masse è intelligente. La precarietà, il non-detto, la superficialità sono rese efficacemente.
Il regista inglese, forse per voler trasmettere il messaggio di giovanile ardore e di passione quasi adolescenziale che anima l’opera di Puccini, immagina gli studenti come dei monelli in divisa, con tanto di pantaloncini corti, e Manon come una bambina trecciuta e spaventata. La piazza di Amiens è una scuola, con tanto di lavagna sulla quale si va continuamente scrivendo “amore” e si disegnano cuori, che si trasforma progressivamente in un luna park con tanto di cigni volanti, uno servirà per la fuga dei giovani amanti, tiro al bersaglio vivente, enormi orsacchiotti di peluche e attrazioni varie. Nel secondo atto la casa di Geronte ha più del bordello che della residenza aristocratica; Manon non si fa truccare ed acconciare, il parrucchiere diventa un tatuatore cocainomane che realizza il suo lavoro sulla caviglia della capricciosa mantenuta, sotto il costante controllo di donne in abiti talari. Più interessante il terzo atto, vagamente felliniano, con una nave che non vediamo e le condannate alla deportazione sospese nel vuoto in gabbie che si riveleranno essere paniers . Claustrofobico il quarto atto, nel quale Manon e des Grieux si aggirano smarriti nella voragine, che sembra uno sbancamento di terreno per dei lavori di fondazione non portati a termine. Nonostante qualche buona idea lo spettacolo di Vick è noiosissimo, manca di smalto, è piatto a livello drammaturgico a dispetto del gran movimento di coro e comparse e del salire e discendere dei cigni. Molto déjà vu, sottoforma di sesso promiscuo, eroina, elementi sadomaso; Vick sembra, tristemente, rifare un po’ se stesso e l’autoreferenzialità è talvolta sintomo di impoverimento della vena creativa.
Faraoniche le scene “finto minimal”, ma di fatto tanto imponenti nella costruzione da costringere il pubblico a pazientare per cinquanta minuti di intervallo fra secondo e terzo atto, realizzate da Andrew Hays e Kimm Kovac che firmano anche i variopinti e curatissimi costumi. Intrigante il disegno delle luci di Giuseppe Di Iorio. Caotiche le coreografie di Ron Howell.
Muscolare la direzione di Renato Palumbo, che opta per volumi orchestrali importanti e dinamiche non troppo inclini alla morbidezza. Più convincenti il secondo ed il terzo atto, nei quali Palumbo riesce ad esprimere con discreta efficacia la drammaticità della musica trovando colori appropriati. Qualche dissenso, a nostro giudizio eccessivo, anche per lui.
Sugli scudi Marina Serafin, per la prima volta alla Fenice. La sua Manon convince per ricchezza di sfumature, rotondità di timbro, politezza della linea di canto. La voce è ampia, morbidamente vellutata nel registro centrale, imperiosamente autoritaria in acuto. Alla potenza la Serafin accompagna suadenti mezzevoci ed un fraseggio elegante. Per lei successo pieno ed ovazioni al termine.
Desolantemente piatto il des Grieux di Walter Fraccaro, il quale, al solito, dimostra di possedere un buon bagaglio vocale, ma, al contempo, manifesta un’approssimazione assoluta per quanto concerne l’interpretazione. Fraccaro canta tutto forte, senza mai cercare un colore o un accento, più concentrato sull’acuto finale che sulle frasi. Anche l’intonazione ha lasciato, in talune occasioni, un po’ a desiderare.
Passabile il Lescaut di Dimitris Tiliakos, baritono dal timbro chiarissimo e dal volume esiguo, il quale si salva grazie ad indubbie doti sceniche.
Discreto l’esile Edmondo di Saverio Fiore, che canta anche il Lampionaio, nonostante qualche piccolo problema nelle note di passaggio.
Buono il Geronte gelido e spietato di Alessandro Guerzoni, del quale abbiamo apprezzato l’aver rifuggito da qualsiasi tentazione macchiettistica.
Tra i comprimari ricordiamo il solido Maestro di ballo di Stefano Consolini, l’ottimo Musico di Anna Malavasi, il corretto oste di Gionata Marton, il ruvido Capitano di marina di Salvatore Giacalone.
Degni di citazione i musici di Nicoletta Andeliero, Emanuela Conti, Gabriella Pellos e Francesca Poropat, nonché il Sergente degli arcieri di Carlo Agostini.
Bene il coro, molto impegnato anche nella recitazione, preparato da Claudio Marino Moretti.
Pubblico freddo durante la recita, con timidi applausi a scena aperta per la sola Serafin e diviso tra dissensi ed applausi, per altro non calorosissimi, al termine.
Alessandro Cammarano